Quello che troppo spesso si omette di dire è che la stragrande maggioranza degli ospiti nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (oltre il 90%) sono soggetti pluripregiudicati, molti dei quali hanno commesso reati gravi come violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, rapine, spaccio di droga, ecc. oppure persone che provengono direttamente dal carcere, dopo aver scontato la pena, e che dovrebbero essere rimpatriate.
In questo contesto, è evidente che il CPR non è un luogo di inclusione né uno strumento per “criminalizzare l’immigrazione”: è un presidio di sicurezza, necessario per trattenere soggetti pericolosi il tempo strettamente necessario a portare a termine le procedure di espulsione.
La verità, che oggi fatica a emergere nel dibattito pubblico, è che il problema non è l’esistenza dei CPR, ma l’impossibilità crescente, *emersa stranamente proprio negli ultimi tempi*, di eseguire effettivamente le espulsioni. Questo è il vero nodo strutturale che spiegheremo pubblicamente a tempo debito e senza più ambiguità.
È tempo di fare chiarezza, nero su bianco.