
EMERGENZA IMMIGRAZIONEProcedure lunghe e pochi poliziotti: «Ecco perché i rimpatri degli stranieri sono così lenti»Colloquio con Eugenio Bravo, segretario provinciale del Siulp ed esperto di immigrazioneSe i centri per stranieri in Albania sono bloccati, quelli italiani vanno…a singhiozzo. A spiegarlo è Eugenio Bravo, segretario provinciale del sindacato di polizia Siulp Torino: «Il sistema è farraginoso e lungo da morire, così troppi extracomunitari irregolari e pregiudicati restano liberi in Italia». Un problema che emerge proprio alla vigilia della riapertura del Cpr di corso Brunelleschi, prevista a breve nonostante i dubbi di residenti e Circoscrizione.È ancora chiuso ma è il più caro d’Italia: lo strano record del Cpr di TorinoIl Centro per il rimpatrio degli extracomunitari pericolosi dovrebbe aprire venerdì ma…Per Bravo sono dubbi immotivati: «Va premesso che nel Cpr non vanno quasi mai gli irregolari che non hanno commesso reati. Lì si trattengono soprattutto extracomunitari pluripregiudicati e socialmente pericolosi, in modo da procedere all’identificazione e all’espulsione decisa con un decreto del prefetto. Una struttura del genere è fondamentale e necessaria per evitare che persone si rendano irreperibili. E servirebbero molti posti in più rispetto ai 70 previsti».Il Cpr (acronimo di Centro di permanenza per il rimpatrio) è finito sotto accusa in passato per le condizioni di vita delle persone che si trovavano all’interno. Che lo hanno poi devastato più volte, fino alla sua chiusura: «Il Cpr di Torino, nonostante le sue criticità, non è mai stato un lager. E, in periodi normali, ha permesso di rimpatriare il 60% degli “ospiti”, compresi quelli provenienti da Paesi non sicuri. E, se l’extracomunitario collaborasse alla sua identificazione, tornerebbe a casa nel giro di una settimana. Ma pochissimi lo fanno. Inoltre, prima di entrare nel Cpr, lo straniero viene visitato per verificare se sia in grado di vivere ristretto insieme ad altri. Il problema è dato dai tempi troppo lunghi». In che senso? «Entro 48 ore dall’ingresso in struttura, l’Ufficio immigrazione deve inviare gli atti al giudice di pace. Il quale ha ulteriori 48 ore per convalidare o meno il trattenimento nel Centro. Se non convalida, lo straniero esce con un ordine a lasciare il territorio entro 7 giorni, che non ottempererà mai rimanendo libero sul territorio senza titolo di soggiorno. Se c’è la convalida, spesso lo straniero richiede la Protezione Internazionale: così sospende l’espulsione fino alla decisione della Commissione territoriale. Poi iniziano i ricorsi che allungano i tempi di trattenimento, ingolfando uffici giudiziari e commissioni. E parcelle e procedure sono tutte a carico del contribuente italiano perché eseguite in gratuito patrocinio». E intanto lo straniero “scompare” oppure occupa un posto nel Cpr.Qual è la soluzione? «Bisogna potenziare le commissioni territoriali che verificano il riconoscimento del diritto di rimanere in Italia. Oggi sono una decina a fronte di migliaia di richieste: solo così si riducono i tempi di valutazione. Serve anche un Ufficio immigrazione specializzato, una task force con molti più operatori e maggiori competenze dirette. Ma andrebbe limitata anche la sospensiva sui ricorsi contro le espulsioni».Tutti espellono solo l’Italia noLeggi il commento del direttore Beppe FossatiCi sono altre criticità? «Oggi si accetta qualsiasi motivazione per concedere la protezione internazionale, senza che il richiedente ne dimostri la veridicità. Un esempio: c’è chi si dichiara gay e quindi perseguitato nel suo Paese ma poi chiede il ricongiungimento con moglie e figli».In questi giorni si parla tanto dei centri in Albania, vuoti anche per l’intervento dei giudici: «La questione è molto spinosa: la provenienza degli extracomunitari da un Paese non sicuro impedisce di accelerare le pratiche per l’espulsione. In pratica, se non si trova una soluzione, questi immigrati non possono andare né in Albania né nel Cpr ma solo in hotspot italiani dove saranno liberi di uscire. Il Cpr in Albania può essere una buona idea, a patto che le tempistiche per l’identificazione e l’espulsione siano brevi. In verità servirebbe di più un hotspot in Africa, come sostenuto da Giorgia Meloni e da chiunque voglia seriamente provare a risolvere il fenomeno dell’immigrazione irregolare»
